lunedì 22 maggio 2017

Marina e i monaci


Uno strano incontro tra oriente e occidente è quello che riporta Marina Abramovich nella sua autobiografia quando ci racconta lo stile dei monaci tibetani da lei "impiegati" in una delle sue performance. L'artista montenegrina, solita scuotere coscienze e nervi del pubblico, stavolta si ritrova lei stessa innervosita dai suoi estemporanei collaboratori. Come gli swami in India e gli aborigeni in Australia, i monaci del Tibet sono tra i personaggi meno convenzionali incontrati dall'artista montenegrina. Lo spirito creativo dell'artista, vulcanico e balcanico, pur richiede un minimo di organizzazione. Con i monaci tibetani non è mai possibile quadrare i conti se non all'ultimo momento, magari per caso.
Per esempio, una performance richiede di stare in piedi su dei gradini. I monaci provano per giorni; Marina è soddisfatta, riesce a istruirli per bene. A pochi momenti dal debutto, i monaci comunicano che non possono eseguire lo spettacolo: per loro non esistono gerarchie e la rappresentazione, ognuno su gradini di altezza differente, non si può fare. Aiuto! In pochissimo tempo, le idee di Marina sono stravolte e il risultato finale diventa caotico, non proprio in linea con le aspettative.
Un'altra volta, alcuni monaci vengono preparati per una nuova performance, poi tornano a casa, in attesa dell'evento. A pochi giorni dalla prima, arriva dal Tibet un gruppo di monaci totalmente differente! Anche in questo caso, si riesce a rimediare in fretta e furia.
Impossibile, sembra, capire cosa passi per la testa a questi monaci. Magari sono sempre gioviali ma, come nota Marina nel corso della convivenza nella sua casa-palazzo di Amsterdam, riservano grandi risate soprattutto per...le bolle che fa il loro tè!
Insomma, anche per un artista il confronto con una civiltà differente è arduo. C'è poi sempre il sospetto che questi monaci prendano un po' per il naso gli occidentali, soprattutto quando li vedono troppo presi dagli impegni.

mercoledì 28 gennaio 2015

Isole del non ritorno


Mi è capitato di vedere negli ultimi mesi 3 film legati da qualcosa in comune: l'ambientazione su isole e il terrore che, in forme diverse, si annida in queste isole. "A Venezia un dicembre rosso shocking" con la minaccia di un fantomatico serial killer; "Ma come si può uccidere un bambino", con un'orda di ragazzini impossessati che fanno fuori tutti gli adulti; "L'uomo di vimini", in cui tutti gli abitanti dell'isola tendono un mortale tranello a un poliziotto bacchettone, diventato agnello sacrificale del loro rito propiziatorio. Tre grandi film, horror (o semi-tali) non scontati, pieni di spunti ben sviluppati tenuti insieme da un leit-motiv comune: la persecuzione dei protagonisti da parte di un unico assassino, un sotto-gruppo di assassini, un'intera comunità di assassini. Il tema della morte è affrontato in relazione a questa sinossi dell'antagonista, in un crescendo di alienazione dal tabù ancestrale dell'uccidere che culmina con il paganesimo dell'ultimo film. Eppure, nello stesso tempo, propone il circolo vizioso dell'uccisione necessaria di uno per la sopravvivenza di tutti, il capro espiatorio che annulla l'ira della natura nel solstizio d'estate. Nota particolare per Julie Christie e Donald Sutherland, due grandi attori che rimangono sulle loro a tutto vantaggio della trama a spirale che li avvilupperà.

Quanta grazia può avere un calzino


Sock Monkey è il fumetto del momento, del mio momento, intendo. Storia che si dipana e si rinnova in un continuum di godibili avventure di una strana epoca vittoriana, dislocata sulla costa ovest americana, lo stesso, piena di aplomb compostezza e dignità...improvvisamente frantumate dall'irresistibile sadismo di Tony Millionaire. La scalata al castello di cristallo che, poi, si converte in un incontenibile inferno di cristallo. L'idea di Sir Corvo di consolare la topolina Smalls, vedova da poco, con un rimpiazzo singolare quanto inappropriato: un topo alato ("...un arcangelo!") che altri non è che un pipistrello, divoratore di roditori. L'hobby innocuo di attaccare al muro salamandre con uno spillo, fino a farle seccare. La liberazione dalla loro scatola di un manipolo di formiche (sull'orlo del suicidio), incautamente gettate in un giardino infestato da corvi, più voraci di un formichiere. Queste sono le strane situazioni innescate da uno dei più strani dinamici duo mai creati: una scimmia fatta con i calzini vecchi, un corvo di stoffa con due bottoni al posto degli occhi. Divertimento sorprendente per grandi e per...grandi (purtroppo i piccini potrebbero non apprezzare molte delle crudeli performance raccontate, tipo il lavaggio del cervello imposto alla ghiandaia incredula). Il mondo di Millionaire oscilla sul confine tra credulità e diffidenza: un corvo di pezza può volare se al culmine del primo salto ne spicca un secondo. Un mondo toccato dalle fate che ricorda la Slumberland o i luoghi dell'orsetto Rupert; un mondo che somiglia a quelli creati da Miyazaki, con la parata di personaggi enormi e minuti; una sinfonia in bianco e nero che farà venire la voglia di possedere questi due fantocci, piazzarli su una credenza e, ogni tanto, dare loro una sbirciata per cogliere quella mossa, quel fremito che perpetui la magia di questo fumetto anche nel mondo reale.

giovedì 18 dicembre 2014

Sinagoga amica


La sinagoga degli iconoclasti è uno dei libri più divertenti che abbia mai letto. La leggerezza della scrittura di J. Rodolfo Wilcock è di quelle accattivanti: mai frasi prolisse o tendenziose, ogni pensiero ironico viene portato a compimento in modo snello, per la completa soddisfazione del lettore. Le mini-biografie immaginarie di tante persone, notabili per avere poteri, attitudini o credenze assurdi e paradossali, rimangono di una qualità alta in termini di felicità di invenzione lungo tutta la loro carrellata. E' invidiabile il modo con cui l'autore riesce a caricare di umorismo le vicende della vita e della morte di questi uomini, senza mai appesantirle con sarcasmo o moralismo. Il piacere con cui Wilcock ha dato forma al suo prodotto fantasioso è completamente avvertibile in ogni frase; riesce a rovesciare i luoghi comuni, prendere in giro il gusto delle persone per alcuni personaggi discutibili, rivestire di humour gli episodi più spiacevoli. Una tale felicità di ispirazione dovrebbe essere paradigma per tanti autori: perché esprimere il disagio esistenziale con la caduta nell'abisso come fa Houellebeck nel suo "Estensione del dominio della lotta", tradendo le promesse di divertimento iniziali? Gioie e dolori della vita sono sempre gioie, se viste dalla prospettiva di Wilcock.

lunedì 27 ottobre 2014

Assassination Bureau con sorpresa!

The Assassination Bureau è un film inglese del 1969. Nel cast, oltre al beffardo protagonista Oliver Reed, anche il greco-americano Savalas e l'inglesissima Diana Rigg (oggi Olenna Tyrell ne "Il trono di spade"). Con piglio scanzonato il regista illustra le vicende di una strana compagnia commerciale il cui commercio è quello degli omicidi. La trama è tratta da un incompiuto di Jack London. Ci sono vari incroci con la storia, l'assassinio dell'arciduca Ferdinando su tutti, e varie ambientazioni. In quella italiana, ecco la sorpresa! Compare Annabella Incontrera, attrice italiana che sembra abbia fatto girare la testa a molti uomini, tra cui un ministro inglese...Nel film è la moglie del membro italiano della società degli assassini; farà del suo meglio per avvantaggiarsi della sua posizione ma finirà eliminata anche lei. Nel complesso un film con grande ritmo che riserva, nella parte centrale, la performance di un'attrice di notevole bellezza.

giovedì 25 settembre 2014

Joseph Beuys e la Sibilla



Joseph Beuys, nell'antro della Sibilla Cumana, propone un interessante parallelismo. Il mito della Sibilla è amato da Beuys perché i responsi sibillini non erano annunciati in forme intellegibili, più con suoni che con parole. Questo rende la Sibilla l'immagine della creatività, forza presente in tutti gli uomini, che cerca di trasformare ogni uomo in un artista. Lo sviluppo della società non dipende dalle circostanze politico economiche ma da quelle creative ed espressive.

martedì 2 settembre 2014

La classifica delle arti!

Le arti "conclamate" sono 9, di cui 7 hanno una storia millenaria...Musica, Poesia, Pittura, Scultura, Danza, Teatro e Architettura. Le 2 più recenti, Cinema e Fumetto, sono un gentile omaggio del XX secolo.
C'è un modo per stabilire quale sia l'arte più elevata? Secondo me si, il criterio da usare dovrebbe essere la forza evocativa e lo spazio all'immaginazione che rende l'osservatore partecipe e non supino spettatore.

1) La Musica 
In base a questo principio la musica è la prima classificata, la più eterea, quella che impone meno sovrastrutture al suo fruitore. Chi ascolta un brano musicale lascia che la sua immaginazione venga stimolata e le sue emozioni sollecitate dalla sequenza di note. Non ci sono immagini o parole che, come un bollo obbligatorio, si imprimono nella mente; solo liberi pensieri che, secondo la predisposizione di ognuno, vengono creati all'istante e plasmati dalle pieghe che prende la melodia.

2) La Poesia
Seconda classificata per meriti di minor ingombro di sovrastrutture rispetto alle successive sette, ma sicuramente più greve (nel senso di grave, pesante, opprimente) rispetto alla musica. La poesia anche se non introduce l'elemento visuale vero e proprio, corrompe l'ascoltatore imponendogli la lingua parlata. Cioè una sequenza di parole -quelle e non altre- che veicolano uno stato d'animo dal poeta al suo lettore. Al giorno d'oggi chi ha davvero sensibilità per leggere una poesia? La lettura è veloce, quantitativa, poco incline all'introspezione dello scrittore e, in modo inconscio, di se stessi (i lettori). Quindi direi che è un'arte da rivalutare e, nello stesso tempo, reimparare a fruirne con strumenti dimenticati quali la calma, la concentrazione, il silenzio e una mente sgombra da pensieri opprimenti.

3) La Pittura
La pittura, buona terza, provvede all'osservatore uno scenario fisso, un'immagine che, per quanto criptica, movimentata, oppure scarna, quasi povera di stimoli visivi, è invece pur sempre capace di far riflettere. Fa riflettere in maniera meno autonoma rispetto a musica e poesia, dove gli scenari sono creati dall'osservatore e il creatore dell'opera pensa solo a evocarli -anche se potrebbero essere lontanissimi quelli concepiti da entrambi-. La modalità di fruizione dell'opera pittorica è anche più veloce rispetto all'opera poetica; all'osservatore istintivo basta uno sguardo rapidissimo per captare il bello, il non già visto, il brivido del piacere visivo che spesso collima con una figura sensuale: perché no? Molti pittori, anche nelle loro tele più insospettabili, riversano una tensione erotica che non sfugge a chi osserva. E come la sensualità, anche altri stati d'animo, emozioni e pensieri, più o meno intellegibili, sono là che aspettano di stimolare e contagiare chi osserva il quadro. Rispetto alla poesia, la composizione è invece più lenta; pur ammettendo l'esecuzione di getto soprattutto nelle bozze, la creazione finale può richiedere molto tempo prima di essere ultimata.

4) Scultura


Come compagna di classifica della pittura, non poteva che esserci la sua versione tridimensionale: la scultura. In realtà la materia può evocare con molta forza sentimenti, drammi e commedie ma, proprio per la presenza di massa e lo spazio ridotto che lascia alla immaginazione del fruitore rispetto alle precedenti tre, è relegata in una posizione inferiore. Ovviamente la mia è un'opinione molto discutibile, anche se cerca di seguire la premessa di questa classifica; la forza della scultura riguarda anche le molteplici prospettive da cui può essere osservata, che la rendono più multiforme rispetto a musica, poesia e pittura. Però rimango dell'idea che questo moltiplicare le possibilità di osservazione la renda anche più simile alla realtà, le faccia imitare la natura in una maniera più definita e, tornando al ritornello di prima, tolga allo spettatore la possibilità di immaginarsi una propria soluzione al non visto: tutti i punti di osservazione sono a portata dell'osservatore, la sua immaginazione è meno stimolata.

5) Danza
Mi dispiace parlare di danza perché non ne so molto. Rifacendomi alla sua presenza in tutte le culture, come fenomeno, insieme al canto, sia aggregativo che religioso, posso in un primo momento azzardare che è sicuramente un veicolo di emozioni. In questo ambito, però, non parlando di danze collettive, quasi anti-artistiche per definizione, ma di performance di ballerini guidati da un coreografo che seguono una musica, dovrei applicare il principio di cui sopra e concludere che, questi corpi che compiono movimenti all'unisono, sono una forma d'arte e si discostano, elevandosi, dalle forme d'arte successive perché non imitano in maniera pedissequa fatti o situazioni ma le mimano in un modo tale che lo spettatore deve usare del suo per tirare le conclusioni di quanto accade sul palco. Nello stesso tempo la danza non può prescindere dalla musica, almeno credo (ma probabilmente non sarà sempre così) e, subendo essa questo tipo di dipendenza, la colloco leggermente più in basso rispetto alle prime quattro arti.

6) Fumetto
Eccoci all'outsider, tra l'altro motivo per cui mi sono avventurato in questa azzardosa classifica. Il fumetto per me è una forma d'arte superiore a cinema e teatro perché propone una simbiosi tra parola scritta e immagine che lascia alla fantasia del lettore ampi margini di inventiva personale per ricrearsi nella mente lo scenario di riferimento, la psicologia dei personaggi, i rimandi nella trama. La fruizione poi, come nella lettura di una poesia, può essere modulata in base alla voglia che si ha di carpire stimoli dalla pagina stampata. A volte citazioni, rimandi, "semplici" virtuosismi (letterari ma, soprattutto, grafici) possono essere apprezzati solo attraverso un ritmo di lettura congeniale.

7) Teatro
Forse il settimo posto è ingiusto per il teatro che richiede tanto impegno e dedizione a chi lo pratica, regala parimenti gioie e forti sensazioni a chi ne è spettatore. Ma uno spettacolo teatrale è sempre una rappresentazione a sé, unica e non replicabile (sebbene le compagnie portino in scena lo stesso spettacolo anche per anni). Quello che voglio dire è che un'opera teatrale non ha un valore assoluto, per cui ogni volta che voglio riprovare le emozioni di uno spettacolo già visto mi basta controllare che sia allestito anche quest'anno. Questo perché anche Shakespeare, nelle mani di attori scadenti o di una regia discutibile, potrebbe perdere la sua portata. Detto questo non mi è mai capitato di vedere spettacoli brutti ma, se non si vuole separare il testo teatrale (che altrimenti ricadrebbe nella poesia o nella letteratura) dalla qualità della recitazione, avrei difficoltà a stabilire quale opera mi sia piaciuta di più. Questa considerazione potrebbe valere anche per la danza, se avessi assistito al giusto numero di balletti.

8) Cinema
Il cinema è la croce e delizia della nostra epoca. Croce perché è spesso argomento di conversazione come se fosse più importante commentare l'ultimo film piuttosto che l'ultimo romanzo letto o, anche, qualche "penultimo" film visto (ripescato dal passato) che, in quanto a spessore, sarebbero più meritevoli di approfondimento. Delizia, allo stesso tempo, perché i film sono una forma di intrattenimento di facile consumo (nella categoria potrebbero rientrare anche, perché no, le serie televisive). Purtroppo è proprio questa loro natura di intrattenimento consumistico, più che di forma di arte, che li affossa in classifica. Un film presenta al suo spettatore due ore preconfezionate di suoni, immagini, trame. In questo vortice di sensazioni c'è poco spazio per l'elaborazione individuale dello spettatore, per la sua partecipazione attiva o, semplicemente, per il suo modo unico di accogliere gli stimoli propinati.

9) Architettura
La premessa è d'obbligo, per non farmi voler troppo male dagli architetti. Tanti palazzi, opere di edilizia abitativa e non, sono dei veri piaceri alla vista; a volte anche lo spirito ne giova, quando c'è armonia con l'ambiente circostante (soprattutto se questo ambiente è sfidante, come i paesaggi naturali o edifici di epoche passate). Eppure il fatto di avere una funzione (far dimorare persone, ospitare uffici, esporre opere d'arte, raccogliere tifosi di vari sport, far celebrare cerimonie di culto), pone l'architettura in una categoria differente rispetto alle precedenti otto espressioni artistiche. Le precedenti non ricoprono un ruolo necessario nella società, sono semplicemente inutili (se la misura dell'utile è il suo apporto alla sopravvivenza dell'uomo o alla fornitura di servizi alla società umana). Per questo l'ultimo posto, come se fosse un'offesa l'ardire di coniugare utile ed estetica, funzione sociale e bellezza; quasi un tradimento rispetto alla stessa idea di arte, intesa come elevazione spirituale rispetto alle prosaiche incombenze quotidiane.

martedì 15 ottobre 2013

Agostino


Versione cinematografa, forse audace per il 1962, di un romanzo breve di Moravia, "Agostino" è un filo sospeso tra due poli opposti: il decoro dei bambini delle famiglie agiate, già colmi di noia adulta, e la sguaiata esuberanza dei ragazzini di strada. In equilibrio su questo filo c'è il piccolo protagonista, in vacanza nella laguna veneta con la bella madre. Per lui l'estate diventa un rito di passaggio dall'infanzia all'adolescenza, con tanto di prove dolorose da superare. Il primo necessario dolore viene dall'allontanamento dalla sensualità materna. Il compito è arduo perché Ingrid Thulin, giovane vedova piena di fascino aristocratico, tratta il figlioletto come un putto innamorato, riempiendolo di baci sulla bocca e altre attenzioni, a volte un pò distratte. Quando la donna ricambia le attenzioni di un ammiratore, Agostino, ferito, decide di sostituire la madre con un'altra donna. Da un primo e maldestro tentativo arriva la seconda delusione: Sandro, capobanda sedicenne, gli parla di una prostituta, pronta a giacere con chiunque per pochi soldi; Agostino però, per l'età troppo acerba, viene rifiutato e quindi come relegato ancora per un pò alla dimensione di bambino. Tra i momenti memorabili, la lenta navigazione di un calle veneziano, tra edifici silenziosi, mentre il gondoliere accenna a una diceria dei morti seppelliti che potrebbero riaffiorare dal fondale. Altro personaggio chiave per l'educazione sentimentale di Agostino è Saro, l'orco pescatore. Grazie a questo personaggio, che ruba momenti di intimità con i ragazzi con la scusa dei passaggi in barca, Agostino conosce un lato oscuro della sessualità da cui, come per il rapporto edipico con la madre, cerca spontaneamente di fuggire.

domenica 6 ottobre 2013

Casa dell'Architettura


Dalle parti della stazione Termini, passeggiando verso le vie parallele ai binari, in piena civiltà afroromana, si arriva a questo edificio dalla pianta ellittica, una sorta di pantheon nato come acquario (!), il cui pian terreno ospita conferenze e dibattiti ragionevolemente di architettura e dintorni. Proprio sui dintorni era incentrata la mostra dedicata a Calvino, che correva lungo il passeggio circolare al primo piano, con affaccio sulle sedie in fila e sui vocioni degli operai affaccendati a preparare chissà quale evento. Forse per mia poca voglia, forse per un pò di maldisposizione infusa dall'aria scioperata degli anziani signorotti messi a custodia del luogo, la mostra mi è sembrata pretestuosa e arida. Italo Calvino, uno dei più lucidi intellettuali italiani, viene citato su cartelloni dai caratteri minuti, evocato da collage di dubbio design, associato a immagini che dovrebbero richiamare le utopie del suo scritto più architettonico "Le Città Invisibili". Il tutto poteva essere meglio congegnato, con meno sciatteria e un pò più di passione e impegno, entrambi in teoria richiesti come minimo accorgimento per adeguarsi a un'occasione simile.
Tra le istallazioni accostate a Calvino una opera di Tonel, l'artista cubano Antonio Eligio Fernández, che in modo scherzoso presenta "Autoretratto a los 50 años", parodia di un regime con libertà di parola completamente nulla.

Altra opera, questa direttamente ispirata al letterato nato a Cuba, è quella di Enrico Frattaroli. Un libro "gualcito", tante pagine da "Se una notte d'inverno un viaggiatore" che formano un bouquet cartaceo, rimando alla moltitudine di sentieri che il romanzo, come fossero rose, offre al lettore (per poi deluderlo con il repentino sfiorire di ogni trama).
Una ciliegina appena uscito dalla struttura: adocchio un bagno, di lato al bar, con accesso da una breve discesetta "carrozzabile". Uno degli usceri mi fa: "Signò, deve andà ar bagno? Non può passà da dentro? Sennò qua me tocca sempre stà a aprì e chiude...". Mah!

giovedì 26 settembre 2013

Foto d'autore


Ancora un viaggio nella Roma trasteverina, visita al museo di Roma in Trastevere dove al pian terreno c'è una carrellata di immagini per seguire come si è evoluta l'urbanistica intorno al Tevere, con la costruzione degli argini e i progressivi contributi architettonici che pian piano hanno modellato Roma come ora la vediamo (per esempio il villaggio olimpico e corso Francia, il lungotevere con l'anche qui criticatissimo edificio dell'Ara Pacis, i tanti ponti e la loro storia).
Ma indimenticabile resta la mostra del primo piano, con una bella raccolta di foto in bianco e nero della gente di Roma. Gli autori, Mario Carbone e Emilio Gentilini, hanno entrambi il merito di cogliere senza risvolti morbosi la genuinità delle espressioni di tanti romani e, soprattutto, romane nel corso di giornate normali o eventi particolari (una processione, un matrimonio, una festa). Nell'immagine più in alto Trastevere 2 del 1956, fotografia disponibile qui.
Trascurabile l'ultima mostra nel museo, nelle sale che si affacciano sul chiostro, sempre al primo piano, (Dis)Appearance di Horst Stein propone particolari metropolitani prima da soli e poi coperti da passanti (da cui la disappearance); emozioni zero, solo un grande senso di castrazione per quel chewingum appiccicato al posto del pene su una statua, poi scomparso dietro un preoccupato turista.