Ecco come si presentava la campagna poco fuori le mura di una Roma di metà XIX secolo. Qui sopra c'è una veduta da San Giovanni in Laterano: le lunghe direttrici degli antichi acquedotti fendevano come backbone ante litteram il placido agro romano, creando un effetto straneante degno dei rebus della Settimana Enigmistica.
Palazzo Braschi ospita una settantina di acquerelli, acqueforti, olii e disegni vari di artisti inglesi dell'Ottocento che si sono soffermati su Roma sparita, oppure mai esistita come per quell'autore che ha fatto passare un fiume a pochi metri dal Colosseo. Non che lo spettacolo dei Fori avesse bisogno di trovate particolari per affascinare di più lo spettatore, ma con questi inglesi non si poteva mai sapere. Ecco John Ruskin, autore di qualche bella visuale di via del Corso e di una tipica fontana trasteverina, che esprime il suo sdegno per una Roma sporca e malridotta, troppo trasandata per il suo occhio delicato di esteta e critico d'arte. Mah, forse la Londra del tempo poteva essere un pò più pulita, i reali potevano tenerci più dei Papi al decoro, ma non credo che questa pulizia riguardasse anche i bassifondi e i porti sul Tamigi, soprattutto in un'epoca in cui Londra era la città più importante sulla terra e la meta naturale per orde di persone in cerca di fortuna (qui un articolo che parla del colera del 1854).
Più in basso, per allontanare il velo di antipatia dagli artisti anglosassoni, un dipinto di Samuel Prout che avrà fatto rivoltare Ossian nella tomba: alcune lavandaie usano il soleggiato Foro Romano per stendere i loro panni presso la colonna di Foca.
Tra le curiosità della mostra, collocata in due stanze al piano terreno, proprio di fronte l'entrata principale del museo, c'è il sottofondo continuo della grave sarabanda di Handel (sentita in Barry Lyndon); se fossi un custode, costretto a questo martellamento (perché già il secondo ascolto può portare a uno stato ossessivo), mi procurerei buoni tappi.
Piacevole scoperta, invece, nella collezione permanente del palazzo, gli eterei paesaggi a olio di Ippolito Caffi che ridonano a Roma la dignità un pò austera di capitale per antonomasia del mondo antico e l'eleganza di capitale culturale del mondo contemporaneo.
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